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06 agosto 2008

Fuga dall'Italia nell'estate nera

Meno presenze straniere, operatori in allarme:
in calo bar, ristoranti e stabilimenti balneari
Gli italiani non hanno soldi e, soprattutto, temono di averne ancora meno in futuro. Le vacanze, di conseguenza, languono. Al più si fanno le «villeggiature» come una volta, nella casa dei nonni o degli zii al paesello. Non solo: i pochi che si concedono una pausa di relax, lo fanno tenendo ben chiuso il portafoglio. Una stretta sui consumi che evoca povertà d’altri tempi. Già due settimane fa Federalberghi aveva illustrato la raggelata dei flussi turistici, con una caduta del 20% delle presenze negli alberghi, e metà italiani (il 48% dei maggiorenni) destinata a non fare vacanze. Quanto all’altra metà, non è che scialasse, tant’è che il 35% avrebbe fatto ferie di durata inferiore a 7 giorni. Ieri, un altra associazione la Fipe - che raccoglie bar, ristoranti, stabilimenti balneari, discoteche e rifugi alpini - è tornata sul problema, misurandolo con il parametro dei consumi, e traendone un ancor più sconfortante panorama. Non solo alberghi «Per il 64% dei gestori - dice lo studio - la stagione è iniziata peggio dell’anno precedente e solo pochissimi sperano in un miglioramento per agosto e settembre, facendo scendere al 58% il gruppo dei pessimisti. Il flusso è in calo in tutti e quattro i mesi. La flessione a fine stagione sarà del 4,8%, che in termini assoluti corrisponde a 28 milioni di presenze in meno. La crisi dei consumi nel turismo è dovuta per gran parte proprio al minor afflusso e per il resto ad una minore propensione alla spesa di chi andrà in vacanza: una crisi in grado di mandare in fumo quasi tre miliardi di euro di fatturato reale con un calo del 7% rispetto all'estate 2007». La vacanza al mare, meta principe di questi mesi, conosce un calo del 6,8% - dice Fipe - con ricaduta negativa su tutti i consumi: non si vendono gelati, birre e bibite. Solo pizzette e acqua minerale tengono il mercato. Perfino i piccoli souvenir hanno subito un tracollo. Non va molto meglio neppure la montagna, dove il mercato ha ceduto un 3,8% rispetto allo scorso anno. Meglio (+1,1%) il turismo nei piccoli centri, che va letto - tuttavia - come un segno di debolezza economica, in quanto gli italiani hanno ripiegato sulle vecchie case di famiglie soprattutto dell’area appenninica. Mancano i ricchi manca soprattutto il turismo ricco, quello capace di spendere, quello americano (penalizzato dal cambio euro-dollaro) e quello dei paesi europei occidentali. L’afflusso dei nuovi turisti, quelli russi e cinesi soprattutto, non è servito a ripianare la falla. I tedeschi sono molto diminuiti in Toscana, sul Gargano, in Puglia e in Costiera. Gli americani hanno disertato l’amata Costiera ma anche Roma, Firenze, Venezia e la riviera romagnola. I giapponesi sono diminuiti ovunque. I prezzi questa volta non c’entrerebbero, in quanto il 67% degli intervistati ha giurato di non aver ritoccato i listini neppure per l’adeguamento all’inflazione pur di poter lavorare. Ma pare non sia servito. Non dobbiamo però piangerci addosso, ma dobbiamo darci tutti da fare e puntare sulla qualità dei servizi offerti. Anche la politica, però, deve fare la sua parte. Non basta certo una nuova classificazione alberghiera, per altro nemmeno condivisa da tutte la categorie, per invertire la rotta declinante del nostro turismo».

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