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14 gennaio 2010

ROSARNO, LA TARANTELLA DELLA VITA

di Filippo Pugliese
Come sempre quando succede qualcosa di enorme i giornali e i notiziari dei giorni scorsi erano pieni di Calabria, di Rosarno e di immigrati. Tra qualche giorno tutti avranno di nuovo dimenticato, invece dovranno essere giorni buoni per riflettere, ragionare sui venti di razzismo che battono il Paese e sulla violenza che li accompagna.
Le favelas di Rio de Janeiro e di Salvador de Bahia, di Città del Messico, i cimiteri “abitati” del Cairo, gli slum di New York,la banlieu di Parigi, le topaie di Nuova Delhi, le palafitte nei canali di Bangkok e tanti altri inferni che il diavolo si è inventato nelle zone più miserabili del mondo sono stati fotografati in questi giorni a Rosarno. Le immagini passate nei servizi delle televisioni e sui giornali hanno rappresentato il degrado e la miseria vissuti da chi, non avendo più nulla nel proprio Paese, è venuto qui a cercare un purgatorio ed ha trovato invece l’inferno. Immagini dure che hanno fatto vedere quanto vicini a noi siano lo sfruttamento e l’emarginazione, quanto possa essere violenta e devastante la rabbia che esplode in chi è costretto a vivere in queste gole del diavolo.
Rosarno la Roquetta, Castel Volturno, San Nicola Varco nella Piana del Sele, Roma via Collatina, Palermo la Favorita, Genova le caverne, Bari quartiere Japigia, Firenze la baraccopoli, tante realtà miserabili esistenti da tempo,da vent’anni dal primo esodo di albanesi, e che i nostri occhi e il nostro pensiero non hanno mai voluto comprendere. Realtà dove sembra che Dio si sia scordato degli uomini e gli uomini si siano scordati di Dio.
Ma chi ha permesso il radicarsi di queste situazioni degradanti ? Chi in tanti anni ha chiuso gli occhi davanti al formarsi di vere e proprie baraccopoli alle periferie di grandi e piccoli centri? Chi doveva esercitare il controllo e non ha controllato? Chi doveva denunciare e invece ha avuto atteggiamenti omertosi? Chi ha tratto profitti dallo sfruttamento dei lavoratori immigrati? Chi ha alimentato rabbia, risentimento, contrapposizione?
I Comuni, le Regioni… lo Stato hanno lungamente trascurato queste realtà di continuo degrado, adottando pochi provvedimenti episodici e mai rivolti a soluzioni radicali e condivise. Il Ministro ha denunciato eccessiva tolleranza, il Presidente della Regione ha dichiarato l’assenza dello Stato. Le associazioni di volontariato hanno svolto meritoria assistenza. Il caporalato e le ‘ndrine hanno profittato. I partiti politici hanno guardato e valutato, ma da lontano. I sindacati hanno dimostrato capacità di denuncia e di “stare dentro” al problema dei lavoratori immigrati. La Chiesa ha predicato fratellanza, giustizia, accoglienza e integrazione.
Viene da lontano la rabbia di Rosarno e se è giusto chiedersi da dove viene, dove abbia covato la rivolta, occorre anche chiedersi chi ha sparso i semi dell’odio e dell’intolleranza, della contrapposizione e del razzismo. Si perché ormai è bene dirselo, di razzismo si tratta anche se non lo si vuole ammettere e si continua a girargli intorno.
Favorite dalla cultura politica dominante che invoca tolleranza zero nei confronti degli immigrati, che giustifica i respingimenti e vuole chiudere le frontiere, che autorizza le ronde e non vuole un paese multietnico,ormai in Italia si rivelano sempre più chiare forme di vero e proprio razzismo manifestantesi in frequenti episodi di violenza contro lavoratori stranieri. E’ del 2006 il Rapporto Onu che denuncia in Italia il rischio di xenofobia. E’nella storia del nostro Paese anche il razzismo: basta ricordare le odiose leggi razziali contro gli ebrei o vedere il film Il Leone del Deserto sui massacri degli italiani in Libia.
Parliamoci chiaro! Di fronte ai venti di nuovo razzismo, ben più preoccupanti della rivolta di Rosarno, molti hanno girato la testa dall’altra parte mentre la questione meritava di essere affrontata con una tensione continua sul rispetto dei diritti umani e con l’allerta sugli episodi di discriminazione e di sfruttamento degli immigrati. Molti hanno ritenuto che parlare di razzismo e di diritti umani non fosse importante in presenza di veri problemi quali il lavoro, la disoccupazione, la crisi finanziaria e la crisi di governo.
Esattamente un anno fa, di fronte agli episodi ricorrenti di intolleranza e di violenza nei confronti degli immigrati stranieri, le Acli di Potenza organizzarono un convegno nazionale dal titolo “1948 il sogno dei diritti umani, 2008 un vento di velato razzismo” con la significativa presenza di Mario Marazziti della Comunità di Sant’Egidio. In quella occasione un‘autorevole personalità della comunità ecclesiale, invitata a tenere una relazione, disse che ben altri e non il razzismo erano i problemi sui quali riflettere; i partiti, la Regione, la Rai regionale, ancorché invitati,furono assenti; solo i sindacati e il Comune dettero un significativo contributo di idee. Meno di un anno fa l’appassionato appello di Tonino Pepe segretario regionale della Cgil, pubblicato sul Quotidiano, contro lo sfruttamento dei lavoratori immigrati, cadde nel vuoto più assoluto. Ma allora di che parliamo? Di cosa ci meravigliamo se si ritiene che intolleranza diritti umani razzismo siano problemi seri ma non tanto da doverne parlare apertamente e con coraggio? Salvo poi a meravigliarsi della rivolta di Rosarno o a rincorrere la notizia sull’immigrato, come ha fatto il Tgr Basilicata quando nell’edizione delle ore 0,15 di venerdì 8 gennaio ha informato che a Scanzano un tunisino (ne basta uno!) senza permesso di soggiorno era stato fermato, arrestato e rimpatriato. Che grande notizia !
Ci risiamo, a Rosarno come a Castel Volturno, a San Nicola Varco come a Palazzo San Gervaso;con gli africani come con i rumeni e gli albanesi. Non si può dire che la rivolta sia esplosa improvvisa. Sono situazioni diffuse e ormai consolidate in molte aree del Paese, al Nord come al Sud. E la storia continuerà ad essere la stessa se non affermiamo con forza un pensiero egalitario e non organizziamo la capacità di indignarsi di fronte allo sfruttamento, all’intolleranza e al razzismo. Non basta la solidarietà che si traduce nella sola assistenza; occorre che essa si accompagni alla denuncia puntuale e coraggiosa delle condizioni di sfruttamento e degli sfruttatori. E’ necessario che i partiti siano nel campo,dentro alla questione; che le istituzioni abbiano fondi sufficienti per i servizi sociali e sanitari; che sia forte il dibattito culturale nell’affermare dignità al bianco come al nero, all’albanese come al rumeno, al musulmano come al cristiano; che ciascuno faccia la sua parte improntando i propri comportamenti al rispetto della diversità. Solo allora le regole potranno essere efficaci strumenti di integrazione e inclusione sociale. Diversamente, oggi come ieri, agli ultimi della terra non resterà che continuare la ‘Tarantella della Vita’ cantata da Ambrogio Sparagna “Quando sbatti con la testa contro il muro della vita e vuoi lasciare,andare via, allora ti butti in mezzo a tanta gente al ritmo della tarantella”.
Sfruttati, affamati,emarginati,schiavizzati, abbruttiti,umiliati, picchiati,gambizzati e ora…cacciati. “Cosa volete ancora da noi? Qui abbiamo trovato l’inferno, lasciateci questa vita maledetta, non per noi ma per le nostre famiglie” sono le parole di un immigrato africano intervistato da un giornalista. Vengono alla mente le parole di Primo Levi in Se Questo è un Uomo “…quando si pensa che uno straniero è un nemico si pongono le premesse di una catena al cui termine c’è il Lager”. Cacciati da chi li aveva accolti per farli lavorare, sedici ore al giorno sottopagati e sottoposti al caporalato.
Se sono stati cacciati vuol dire che la gente del posto non ha più bisogno? Vuol dire,allora, che non sono indispensabili? Proprio questo è il punto: gli africani, i neri non sono più indispensabili a Rosarno perché altri, rumeni e albanesi e polacchi e ucraini, verranno al loro posto a spezzarsi la schiena a raccogliere pomodori,arance e mandarini e a piegar la testa davanti ai capibastone delle ‘ndrine. C’è da chiedere: chi regola questi flussi?
Altri verranno perchè i rosarnesi,come il resto degli italiani,non si piegheranno a quei lavori e a quei costi. Molti ancora non lo vogliono riconoscere, ma un giorno capiranno quanto siano importanti gli immigrati lavoratori stranieri per l’economia del paese, quanto sia giusto che essi vengano rispettati come lavoratori. Quel giorno probabilmente sarà nel mese di marzo 2010, perché le Acli, l’Arci, i Migrantes, i radicali, Cgil, Cisl, Uil, Ugl hanno deciso di realizzare allora una giornata senza immigrati: dai braccianti alle badanti, alle colf, agli operai, agli impiegati, dai regolari agli irregolari, in mezzo a tanta gente per uscire dalla tarantella e alzare la testa.

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