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18 maggio 2006

TURISMO AL GOVERNO

Finalmente un vero e proprio ministero dedicato al turismo

Un Ministero , da noi fin da tempo, ritenuto indispensabile per lo sviluppo
del settore ed in particolare del turismo sociale e culturale.
Esso arriva, - afferma con soddisfazione Pino Vitale –presidente regionale
del CTA dopo un lungo cammino da noi percorso con tenacia che oggi
finalmente diviene realtà.
Il Centro Turistico Acli esprime la sua piena disponibilità al Ministro Rutelli
nell’interesse dei tanti lavoratori del settore nonché per lo sviluppo economico
del Paese.

08 maggio 2006

NO ALLA CULTURA DELLA NEGAZIONE

Forte sensibilità a Potenza per la tragedia dell’Olocausto e, più in generale, per i crimini contro l’umanità. Tanto forte e matura da rigettare i ricorrenti tentativi di quanti, intellettuali e politici e gente comune, intendano sminuire o negare con le loro speculazioni la tragedia dell’Olocausto. Tanto determinata da accogliere come legge di civiltà quella promulgata dal Presidente Ciampi per istituire il Giorno della Memoria.
Sempre più ricorrenti negli ultimi tempi gli atteggiamenti che ostentano simboli del nazismo e i comportamenti ispirati a ideologie che esaltano il superomismo e il prevalere della forza sulla ragione, la supremazia dell’uno sull’altro. Sempre più manifeste le idee, le speculazioni culturali, gli orientamenti politici tendenti addirittura a negare la tragedia dell’Olocausto, liquidandola come un’invenzione, un mito o una leggenda costruita per sostenere la creazione dello stato ebraico. Sono atteggiamenti, comportamenti e orientamenti che alimentano una vera e propria “cultura della negazione” da avversare con la cultura della conoscenza e della consapevolezza che proprio nella storia dei vinti, e non dei vincitori, trova radici e fondamenta.
La storia del novecento è storia di modernità e di democrazia, ma anche di conservazione e di totalitarismi, di grandi rivoluzioni ma anche di preoccupanti involuzioni, di transnazionalità ma anche di nazionalismi, di lotte sociali per l’affermazione dei diritti ma anche di politiche orientate alla negazione dei diritti umani. La storia del novecento è storia di grandi conquiste per l’umanità ma anche di grandi crimini contro l’umanità. E’ assurdo voler negare l’olocausto, il massacro di armeni in Turchia, l’orrore dei gulag in Siberia, gli eccidi dei kmer rossi in Cambogia, le persecuzioni delle guardie rosse in Cina e l’eccidio di studenti a Tien an men, il settembre nero in Giordania, le stragi di curdi in Iraq, i desaparecidos in Cile e in Argentina, lo sterminio di toutsi in Africa, le fosse comuni e la pulizia etnica in Bosnia Erzegovina.
Con tali storie occorre che ognuno sappia fare i conti, senza nasconderle e senza negarle.
Sono stati questi gli aspetti più significativi e illuminanti della serata organizzata a Potenza dal Centro Turistico Acli e dal Centro Documentazione Cinematografica “Pietro Pintus”, con una foltissima partecipazione, sul tema “Cinema e Shoah: per non dimenticare”.
Trenta minuti di terribili immagini sulle deportazioni degli ebrei, contenute nel film Notte e nebbia di Alain Resnais, sono stati la migliore introduzione al libro di Vito Leone che raccoglie le schede ragionate di novantacinque films sulla Shoah. Dall’infame Suss l’Ebreo, che Goebels usò per la propaganda razzista, e dalla satira del Grande Dittatore, che Chaplin scagliò contro chi aveva portato il mondo in guerra, all’eroico Perlasca la ricerca continua con nuove schede di altri films, per una nuova edizione dell’opera.
Struggente la testimonianza di Ugo Foà, della Comunità Ebraica di Roma, sull’esperienza personale vissuta in conseguenza delle vergognose leggi razziali del 1938 in Italia. Altro che leggi “all’acqua di rosa”: furono provvedimenti odiosi che allontanarono gli ebrei dal lavoro negli uffici statali e pubblici, nelle banche e nelle assicurazioni, dall’Università e dalle scuole, e che costrinsero alla fame e alla emarginazione migliaia di famiglie italiane solo perché ebree.
Nel cinema della Shoah il Giardino dei Finzi Contini descrive bene quella situazione creatasi con le leggi razziali.
Il Prefetto Luciano Mauriello ha descritto bene il quadro storico e politico del tempo. Filippo Pugliese, del Centro Turistico Acli, ha spiegato come il turismo sociale diventa turismo responsabile ove sappia legarsi alla conoscenza della storia e della cultura di un paese, della gente che vive e lavora e lotta per l’affermazione dei diritti. Ha spiegato anche come il turismo diventa consapevole quando, per esempio, a Monaco di Baviera il viaggiatore non rinunci a visitare la vicinissima Dachau, per poi chiedersi come abbia potuto nel 1933 un’intera città, culturalmente evoluta e imprenditiva, nascondere a se stessa e al mondo il luogo dell’orrore; per poi indignarsi con una guida colta ed erudita che pretenda, come è accaduto, di negare la reale esistenza del campo di sterminio.
Come è vero che la cultura della negazione si alimenta proprio di simili comportamenti!
Turismo consapevole e responsabile è viaggio della conoscenza; viaggiare lungo le strade della conoscenza porta a ritrovare qualcosa spesso dimenticata o perduta.
Quando si è a Gerusalemme non si può fare a meno di prendere la strada per lo Yad Vascem, il museo dell’Olocausto. L’immensa tristezza delle immagini e dei documenti sullo sterminio di novemilioni di ebrei non abbandona facilmente e provoca grande indignazione per questo crimine contro l’umanità.
Lo Yad Vascem è proprio questo: un museo per non dimenticare e per “conservare la capacità di indignarsi davanti alle ingiustizie nel mondo”.
Molto condiviso l’appello per un no alla cultura della negazione e per l’adesione a un turismo consapevole, lanciato dal Centro Turistico Acli a conclusione della serata che ha toccato anche il filo dell’emozione, quando Filippo Pugliese, riconoscendo che di fronte ai crimini contro l’umanità l’uomo trema come un filo d’erba, ha concluso con i magnifici versi di Rocco Scotellaro: “io sono un filo d’erba, un filo d’erba che trema. La mia patria è dove l’erba trema”.

Filippo Pugliese
Presidenza Nazionale
Centro Turistico Acli
LE ACLI RILANCIANO IL DIBATTITO SULLA RIFORMA COSTITUZIONALE
Centro Turistico Acli Potenza: salviamo la Costituzione!

Si discute, si ascolta, si ragiona e ci si confronta al Centro Turistico Acli di Potenza non solo sui temi del viaggio e del turismo culturale e responsabile, sugli itinerari da conoscere e inventare, ma anche sui temi della politica, della cultura e del cambiamento sociale.
Si discute non in modo virtuale, come può accadere, per esempio davanti ad una trasmissione televisiva, ma con tanto di interlocutore vero ed esperto, di pubblico reale e partecipante che pone domande e riceve risposte in un ambiente informale che facilita la conversazione e accende l’attenzione.
L’ultima volta si è discusso sulla riforma costituzionale, tema complesso e impegnativo, difficilmente proponibile per un dibattito in un momento in cui la politica elettorale comprensibilmente dilaga ovunque.
Bene, se non ne discutono i partiti ne discutano le associazioni. Voglia il cielo che sia diffusamente così, sarebbe la via giusta per dare vigore alla politica e agli stessi partiti attraverso un circuito virtuoso di comunicazione tra loro e le associazioni.
È toccato ad Ennio Ielpo tenere il dibattito sulla Costituzione italiana, la sua storia, i suoi principi e il suo spirito, introdotto da Filippo Pugliese, presidente del Centro Turistico Acli e tra i promotori a Potenza del Comitato per il Referendum contro la modifica della Costituzione.
Proprio nei giorni in cui la suprema Corte di Cassazione ha validato più di un milione di firme raccolte in tutta l’Italia per il referendum, già richiesto da trecentocinquanta parlamentari e da sedici Consigli Regionali, e si prepara ad emettere il decreto di ammissibilità del Referendum, l’iniziativa del Centro Turistico Acli fa ripartire a Potenza il dibattito sulla questione che nei prossimi mesi riempirà l’agenda politica dei partiti e non solo.
Ennio Ielpo, che a Potenza è stato docente di Storia e Filosofia per molte decine di studenti, ha delineato il percorso storico ed ideale che portò i costituenti a definire la Carta Costituzionale e che ha alimentato i sessanta anni della vita democratica del Paese.
L’avvio del dibattito è stato orientato e perentorio con il riferimento alle parole pronunciate in Parlamento dal Presidente Oscar Luigi Scalfaro, il 16 novembre 2005, in occasione delle votazioni per l’approvazione della legge di modifica della Costituzione “Ho sperato che non si arrivasse a questo voto, ma la volontà di approvare una riforma purchessia ha prevalso. Di fronte al voto della sola maggioranza di governo ripenso ai 556 eletti il 2 giugno1946 e all’approvazione della Costituzione del dicembre 1947 con solo 62 no. I dati parlano da soli”.
È partito da lontano il professore Ielpo. Dal 2 giugno 1946, giorno del Referendum su repubblica o monarchia. Allora iniziarono i lavori della Assemblea Costituente e terminarono il 22 dicembre1947 con l’approvazione definitiva della Carta Costituzionale che entrò in vigore il 1 gennaio 1948. Ha parlato diffusamente del lavoro lungo, difficile e continuo che vide impegnati i costituenti in un confronto anche aspro fra le varie parti politiche emerse dal Comitato di Liberazione Nazionale, ma sempre orientato a preservare l’unità nazionale al di sopra di ogni altra questione di carattere ideologico o programmatico. Ha spiegato come la Commissione dei 75 costituenti si organizzò in tre sotto-commissioni con compiti diversi: la prima sui rapporti politici, la seconda sull’organizzazione dello Stato, la terza sui principi e i valori. Ha raccontato bene come in quei lavori si affermarono le forti personalità politiche di La Pira, Dossetti, Moro portatori dei valori del cristianesimo sociale e della dottrina sociale della chiesa; i contributi alti di De Gasperi, Togliatti e Calamandrei.
Nel descrivere i valori e i principi della Costituzione ha citato Aldo Moro “ Non possiamo prescindere da quello che è stato il fascismo nel nostro paese: un movimento storico che nella sua negatività ha travolto la coscienza e le istituzioni. Non possiamo dimenticare quello che è stato, perché questa costituzione oggi emerge da quella resistenza, da quella lotta, da quella negazione, per le quali ci siamo trovati insieme nel fronte della resistenza e della guerra rivoluzionaria e ora ci troviamo insieme per l’affermazione dei valori supremi della dignità umana e della vita sociale. Guai a noi, se per una malintesa preoccupazione di serbare pura la nostra Costituzione da una infiltrazione di motivi partigiani, dimenticassimo questa sostanza comune che ci unisce”.
Ha fatto volare alto il professore, quando ha ricordato le parole di Piero Calamandrei nei discorso rivolto agli studenti del Liceo Parini di Milano “Se voi volete andare in pellegrinaggio dove è nata la nostra Costituzione andate nelle montagne dove caddero i partigiani, nelle carceri dove furono imprigionati, nei campi dove furono impiccati, dovunque è morto un italiano per riscattare la liberà e la dignità, andate lì, o giovani, col pensiero, perché lì è nata la nostra Costituzione”.
Appassionate e autorevoli citazioni che hanno avuto il gradimento e suscitato il piacere dei partecipanti e hanno reso attenta la riflessione.
L’ultima citazione fatta dal professore Ielpo è riferita alla drammatica situazione sociale del dopoguerra. In quel tempo erano tantissimi i problemi da avviare a soluzione, l’esigenza di creare lavoro era l’impegno primario delle forze politiche. In quella situazione era sicuramente difficile far accettare ai costituenti l’idea che la Carta Costituzionale dovesse avere anche valore programmatico, per indicare al futuro legislatore ordinario la strada da percorrere nella realizzazione delle future riforme. Fu allora che Togliatti, per convincere i costituenti che questa era la strada giusta da tracciare, citò i versi di Dante, Canto XXII del Purgatorio, “…Come quei che va di notte, che porta il lume dietro, a sè non giova ma dopo sè fa le persone dotte”.
Idee che hanno fatto la storia della Repubblica e sulle quali si è costruita la Carta Costituzionale che, nei suoi articoli, “allinea sullo stesso piano giuridico, cioè con uguale formalità e dignità, principi inerenti alla natura e alla dignità della persona umana e norme costitutive della organizzazione politica”.
La riforma approvata recentemente modifica anche i principi e i valori della Costituzione fino ad eroderla nelle fondamenta. Ma qui il dibattito è aperto ed è rimandato, sempre con il professore, all’indomani del 10 aprile.
Filippo Pugliese
Presidenza Nazionale Centro Turistico Acli
SULLA STRADA DEI RE CON LAWRENCE D’ARABIA
Appunti di viaggio
Amman grande capitale del Medioriente, un milione e cinquecentomila abitanti, forti radici nell’Islam e tante aperture alla nuova urbanistica occidentale.
Città interessante per le strutture moderne del suo centro direzionale e finanziario di prim’ordine che pure conservano elementi della tradizione. Palazzi alti e meno alti, sempre bianchi e tutti con la facciata rivolta verso La Mecca.
Un cantiere in attività, segno di una capacità commerciale ed economica in contrasto con il resto della città antica, la Medina, dove le case tutte bianche, sempre bianche, fatte con la pietra delle vicine miniere di Re Salomone, lasciano spazio ai molti minareti svettanti verso il cielo a segnare un’attenzione di fede e l’osservanza per le tradizionali preghiere.
Il Muezzin si affaccia cinque volte al giorno e la sua voce, per noi sempre suggestiva, ricorda ai fedeli che “Allah -u- Akbar” Allah è grande.
Imponente e suggestiva è la moschea di Hussein, tutta bianca con le cupole verdi, voluta da Re Hussein, illuminato e lungimirante sovrano molto amato dal suo popolo.
La casa di Allah è aperta a tutti. Al musulmano che ogni venerdì va per ascoltare il sermone dell’imam, per pregare e per riposarsi, per trovare un po’ di fresco alla calura dell’estate. È aperta anche alle donne, purchè in orari non frequentati dagli uomini. Anche a chi non è di fede islamica, purchè sia obbediente alla raccomandazione di entrare scalzo e coperto. Più rigore è richiesto alle donne occidentali con l’obbligo di indossare un kaftano nero, lungo fino ai piedi e con un cappuccio calato fino agli occhi.
All’esterno, le fontane per le piccole e le grandi abluzioni stanno a rinnovare il rito della purificazione, nato mille e mille anni fa quando occorreva educare il viandante proveniente dai lunghissimi viaggi nel deserto a togliersi di dosso polvere, sabbia, sporcizia e impurità prima di entrare nella casa di Allah e incontrare altri fedeli. E’ l’educazione alla vita civile e ai precetti religiosi, contenuta nel Corano: punto di incontro della legge civile e della legge religiosa.
Il ventre molle della città ti prende per il suo fascino mediorientale: il souk pieno di luci e colori, bancarelle di spezie, di mercanzie di ogni genere esposte in apparente disordine e capaci di indicare che lì è la merce da comprare, lì è il medioriente.
Lo percorri timoroso di incontri preoccupanti, dimostrando in questo tutto il pregiudizio occidentale e dimenticando che ogni mondo è paese, che ogni città di sera presenta i suoi rischi e i suoi pericoli. Invece l’attenzione, la cordialità e la capacità ospitale di questa gente ti sorprendono ad ogni passo. Percepisci finanche gli odori e gli umori della gente che invita a contrattare “souvenir souvenir”, guardandoti con curiosità, ma con rispetto, e dicendoti che è ormai tempo che ad Amman tornino gli italiani, perché negli ultimi tempi sono venuti solo gli spagnoli.
La curiosità tutta occidentale ti porta a voler capire come vesta la donna giordana: la incontri con il chador, con il kaftano nero e lungo fino ai piedi e che lascia scoperte solo le mani e gli occhi, ma anche con jeans e aderenti camicette, portate con disinvoltura, che danno la misura di una crescente emancipazione femminile.
In quanto agli uomini, i colori della kefia indicano che esiste una distinzione tra gli arabi: giordani, palestinesi, sauditi. Quella bianca e rossa è dei giordani, quella bianca e nera (oh!…Arafat) è dei palestinesi, quella tutta bianca è dei sauditi. Sono distinzioni che coincidono anche con l’appartenenza alle differenti classi sociali: la più umile resta, da sempre, quella palestinese, una volta numerosa in questo paese prima del tragico settembre nero.
E le idee? Quelle restano ancora vestite dai fondamenti dell’islamismo e lentamente, ma gradualmente, si aprono alla modernità.
L’itinerario è Monte Nebo, il Wadi Mujib, Madaba, la leggendaria e mitica Petra, Aquaba, il Wadi Rum.
Ya Allah! (andiamo!) E’ un paese affascinante la Giordania!
Il Wadi Mujib è la valle dove ha inizio il deserto: contrafforti montuosi, una terra incredibilmente arida ma suggestiva. La leggenda vuole che questa sia la valle dove il diavolo tentò Gesù.
Dune di sabbia rossa, vallate aspre e, in fondo, l’Arabia Saudita, il deserto, La Mecca. E’ da lì che spira il Ghibli, il vento del deserto. In arabo La Mecca si dice Gibily da ciò il nome del vento che soffia impetuoso in questa valle dove a perdita d’occhio non trovi traccia umana.
E’ una suggestione unica! Capisci, allora, come il nulla possa anche affascinarti.
E’ un paese che dà forte emozioni, come Petra: il sogno scavato nella roccia.
La città nabatea scavata nella roccia arenaria tanto friabile da poter essere scalfita con un dito. E’ per questo che duemila anni fa, qui, è stato possibile creare opere di straordinaria fattura: procedendo nello scavo dall’alto verso il basso sono stati costruiti templi, palazzi, colonne e capitelli, statue con straordinaria capacità di raffigurazione.
Ne è scaturita una città misteriosa, tenuta nascosta per mille anni al forestiero e scoperta, casualmente, solo cento anni fa da un europeo che aveva sentito parlare di questa mitica città di cui tutti sapevano ma che nessuno diceva. Che non sia nata propri qui l’Araba Fenice, che tutti sanno dov’è ma che nessuno dice?!
Per trovarla imparò l’arabo, studiò i costumi e le abitudini dei beduini, per anni si confuse tra loro e un giorno si avviò con una carovana, beduino tra i beduini percorrendo la strada che un tempo era la via dell’incenso. Fortuna volle che la carovana passasse per Petra e così poté scoprire questa meraviglia degli occhi.
Una città che era condivisa dai vivi e dai morti, tombe per il culto dei morti ma anche case per la vita quotidiana, palazzi, facciate splendidamente ornate. I romani poi vi sovrapposero le loro architetture: il foro, il teatro costruito su quello nabateo.
Città dei nabatei, posta non lontano dal mare dove arrivava la via dell’incenso e delle spezie, arricchitasi con gli esosi pedaggi pretesi dalle carovane di passaggio, fino alla sua decadenza nell’anno 104 d.c..
E’ indescrivibile l’emozione che si prova arrivando da una gola strettissima e profonda, il Sik, scavata dall’acqua e dal vento tra pareti di roccia arenaria dai cento colori.
Dopo aver camminato per un chilometro in questa fenditura stretta da pareti altissime, all’improvviso, intravedi i tratti del Tempio del Tesoro, forse il più bello.
Più vai avanti più la vena si apre e più scopri la bellezza e lo splendore di questo tempio dai colori rosa, rosso, ocra, arancio, secondo le tonalità che la luce del giorno decide di donargli: il tempio si erge su uno scalone e si slancia con poderose colonne e architravi, capitelli raffinati e magnificamente conservati nel tempo.
Resti senza parole e, senza esagerare, con la pelle d’oca. Ti riprendi dall’emozione cercando l’ombra di un costone e, allora, realizzi che Indiana Jones non poteva che venire qui “alla ricerca dell’Arca perduta”.
E’ un’emozione che vorresti ripetere. Più volte torni a percorrere questa gola e a rivedere l’apparire del Tempio del Tesoro: ma non è mai come la prima volta.
E’ un tempio che appare. Petra è una città che ha proprio la magia dell’apparire improvvisamente, in uno scenario di montagne tanto aspre e fitte che non riesci a scorgere le valli e i canyon, i Wadi, che esse pure contengono. Da lontano vedi solo monti e, in cima a uno di questi, un punto di un bianco illuminante: la tomba di Aronne!
Hibrahim, padre di tutte le guide, si lascia andare ad una appassionata descrizione del rito del matrimonio “le mariage”.
Parla dell’abitudine di presentare la sposa in giovanissima età alla famiglia dello sposo; di tutti gli accorgimenti per riuscire a capire se la sposa sia bella o brutta, avvenente o presentabile; di tutte le astuzie per scoprire se lo sposo possegga un patrimonio sufficiente a mantenere la famiglia che ne verrà.
Usanze e abitudini che, per molti tratti, richiamano quelle in uso fino a poco tempo fa – e in qualche caso ancora oggi – in alcuni paesi del nostro entroterra.
E’ appassionato Hibrahim, si diverte e fa divertire.
Sei fortunato se ti capita di poter assistere ad un matrimonio in un albergo della città. Gli sposi, elegantissimi, circondati da una gran folla di amici e parenti, vengono accompagnati fin sulla porta della loro stanza, al suono di flauti e tamburi e con quel battito ritmico delle mani che ho visto fare solo dagli arabi e dagli spagnoli-andalusi.
Da un altopiano scopri la bellissima valle di Shebak sovrastata da montagne lontane e vicine, solcate da profondi calanchi con ai piedi dune dai colori che vanno dal rosa al verde e al giallo. Somiglia moltissimo alla valle del fiume Cavone, ai calanchi di Aliano e Alianello, in Basilicata. E’ identica: montagne segnate da profondi calanchi, di un biancore giallastro che si produce in sfumature varie e diverse. Sembra davvero la valle del Terzo Cavone nel materano. Bellissima!
L’occhio si riempie di questa fantasmagoria, si lascia prendere dalla bellezza del posto e non riesci a distoglierlo.
La strada è la mitica Strada dei Re, la strada del deserto, che si diparte da Aquaba e arriva fino ad Amman e a Baghdad.
Percorsa da grandi tir pieni di mercanzie, da autocisterne che hanno portato il petrolio ad Aquaba, provenendo da Baghdad e aggirando così l’embargo ancora esistente nell’Iraq.
Parallela alla strada, la leggendaria ferrovia di Lawrence d’Arabia che da Damasco attraversa la Siria, tocca Amman e arriva al porto di Aquaba.
AD AQUABA!!! Era questo il grido di Lawrence d’Arabia quando, dopo l’assalto finalmente vittorioso al treno blindato dei turchi, si mise alla testa delle tribù arabe che era riuscito a mettere insieme – cosa unica e straordinaria – e puntò sul grosso dell’esercito turco, acquartierato nel porto di Aquaba, per sgominarlo definitivamente e scacciare l’odiato invasore.
AD AQUABA!!! Sembra di sentirlo ancora nel vento quel grido.
Sembra di rivedere il famoso film in cui Lawrence,con la jalabia e la kefia bianche dell’arabo saudita, in groppa ad un cammello e alla testa di vocianti schiere di beduini, marcia verso Aquaba. Sembra di rivedere il volto di Peter O’Toole – protagonista del film – pensoso per ciò che avrebbe potuto fare per il Commonwealth e che invece aveva fatto per le tribù arabe, preoccupato per la difficile decisione di puntare su Aquaba.
Il suo sogno era di portare gli arabi a fondare una nazione panaraba, ma questo restò solo un sogno.
Arabia, Kuwait, Iran, Iraq, Palestina, Giordania, Siria, Libano, Egitto parlano la medesima lingua araba, hanno la stessa cultura, e la medesima religione, identici usi e costumi, ma restano fortemente divisi fino a farsi guerra, come è gia successo tra Iran e Iraq, Giordani e Palestinesi, Iraq e Kuwait.
Hibrahim non parla molto di Aquaba e della storia di Lawrence d’Arabia, Sir Thomas Edward.
In verità è una storia tutta occidentale e un mito tutto europeo. Gli arabi vedono Lawrence come un estraneo e, ancora oggi, non comprendono per quale motivo e al servizio di quale interesse avesse posto la sua opera e la sua politica.
E’ ritenuto dagli arabi una spia dei turchi, proprio così, un agente segreto che coltivava interessi non favorevoli al mondo arabo, ma a quello occidentale. Ieri era sicuramente amato da pochi, oggi conosce l’indifferenza dei più.
Ya Allah, verso Aquaba.
Scorgi in lontananza, sotto montagne e spuntoni rocciosi contornati da dune di sabbia rossiccia, sparse, le tende nere dei beduini.
Recuperi nella memoria la sacralità della tenda, tutta la storia di Mosè, l’esodo della sua gente dall’Egitto, il passaggio del Mar Rosso e il viaggio per queste terre verso il monte Nebo, di fronte a Gerusalemme, detta in arabo Al Quds.
La tenda dei beduini, la casa di sempre! L’arabo non riesce a distaccarsi dalla sua tenda. Oggi non è raro vedere nella stessa città, accanto alla casa moderna in muratura, che il beduino è riuscito a costruirsi, anche la tradizionale tenda. L’arabo preferisce vivere lì i suoi momenti conviviali, gli incontri con i suoi amici e le feste familiari.
E’ fortissimo il contrasto fra il cielo fortemente azzurro, i colori di queste montagne, il blu intenso del Mar Rosso e la città di Aquaba tutta chiara e moderna. Più su c’è Eilat, israeliana, confinante con Aquaba. Chiude il golfo Taba, egiziana, con alle spalle il Sinai, le sue montagne e il suo deserto.
Aquaba è l’unico sbocco al mare che possiede la Giordania.
Qui Israele custodisce e controlla attentamente la sua porta sul Mar Rosso. Qui l’Egitto ha rivendicato, insieme al territorio del Sinai, la sua competenza territoriale sul Mar Rosso. E’ qui che i Sauditi dell’Arabia hanno mantenuto il loro passaggio per avvicinarsi al Mediterraneo.
Siamo nella terra di Re Edom, detto il rosso.
E’ qui che iniziò il viaggio di Mosè, dopo aver attraversato il Mar Rosso per arrivare in Palestina, la terra promessa.
Qui Mosè incontrò Edom che con un potente esercito gli impedì di passare. E allora Mosè, con gli uomini stanchi del lungo viaggio, aggirò l’ostacolo e proseguì verso nord, verso il monte Nebo e la terra promessa. Questo accadeva migliaia di anni fa qui, nella terra di Edom, che in arabo significa rosso e che ha dato il nome a questo mare: “mare di Edom, mar Rosso”.
Una piacevolissima sosta ad Aquaba serve a ristorarti con un buon bagno nel Mar Rosso, in uno stabilimento balneare di tutto rispetto, pulito, piacevole e organizzato. Un’ottima orata del Mar Rosso con varie salsine arabe – salsa di ceci, di melanzane, yogurt - e molta insalata verde, con un ottimo bicchiere di birra giordana, rigorosamente analcolica perché nei locali pubblici non si servono alcolici, e dopo riprendi a percorrere la Strada dei Re per deviare poi verso il Wadi Rum.
Il primo luogo importante che si trova oltre queste montagne è il Wadi Rum che per secoli ha costituito l’unico varco verso l’Arabia Saudita.
Lì attendono i beduini con le land rover per farti scorazzare sulle piste del deserto.
Ritrovi lo splendido paesaggio fatto da montagne di arenaria rossa, dalle dune che anticipano il deserto più assoluto dell’Arabia.
E’ difficile descrivere le sensazioni che produce il Wadi Rum, la Valle della Luna.
Nei miei numerosi viaggi difficilmente la natura è riuscita a darmi sensazioni ed emozioni come queste.
Vengono in mente le parole di Lawrence d’Arabia davanti a questi luoghi:”la nostra carovana si rese conto della propria piccolezza e diventò taciturna, timorosa e vergognosa di ostentare la propria meschinità alla presenza della meraviglia dei monti”.
La musica del film Lawrance d’Arabia introduce bene al Wadi Rum.
Si presenta con una roccia estesa e imponente, circondata da dune, solcata nei fianchi da calanchi che formano sette pilastri: una costruzione fatta dall’erosione del vento e della pioggia e che gli arabi chiamano i Sette Pilastri della Saggezza, per ricordare agli uomini che solo la grande saggezza della natura può aver concepito una costruzione così magnifica. Da qui il titolo del libro scritto da Lawrance d’Arabia.
Resti senza parole a fotografare e osservare, a pensare questo magnifico paesaggio che assomiglia solo alla Monument Valley, nello Utah.
Certo quella è più famosa per tutta la letteratura e i films che vi sono stati girati, ma questa è più naturale, di una bellezza selvaggia che ti prende e ti toglie le parole.
Oltre è il deserto, magnifico e straordinario, un tempo ricco di acqua, con la sabbia che si tinge di colori diversi, il rosso e l’ocra e l’indaco e il giallo dai riflessi verdi.
Percorri questa valle a bordo di scassate toyota che i beduini, padroni del deserto, guidano con estrema perizia e con grande incoscienza. Piste che solo loro conoscono, che tu non vedi e sicuramente farebbero insabbiare un autista come noi facendogli finire lì la sua marcia nel deserto. Guidano con perizia, ma i sobbalzi sono atroci su queste toyota. Il rischio per i maschietti è di uscirne con tonalità da voci bianche. Tutti con la jalabia e la kefia, comunque con un tratto arabo, sono felici di attraversare una valle che è un ingegno della natura.
Il mare di sabbia, le dune contornate da straordinarie montagne tinte dal sole, l’artista di sempre, con tonalità e colori differenti.
Ti avvicini ad un accampamento tendato di beduini ed intuisci, già da lontano, il loro modo di vivere.
Accanto alla tenda una canaletta porta l’acqua che un beduino è riuscito a trovare bucando la roccia. Sì, bucando la roccia! Proprio qui vicino, al Wadi Musa, Mosè fece zampillare l’acqua bucando la roccia con il bastone.
Piste rosse una volta battute da carovane che andavano lontano, portando mercanzie, spezie e quant’altro potesse essere necessario da scambiare con altri popoli. E con le spezie si scambiavano anche le idee.
Il deserto è una grande utilità, per chi lo conosce. Solo per chi lo conosce, però! E’ una via che serve ad abbreviare, e chi lo conosce sa di poter raggiungere la meta attraversandolo ed evitando così giri interminabili. Il deserto, per chi lo conosce, è utile a non farsi trovare e a viverci libero di spostarsi da un posto all’altro.
E’ proprio vero che esercita un fascino unico, incredibile: il fascino del nulla. Tu sai che lì c’è il nulla, ma sai anche che a percorrerlo riesci, comunque, a trovare ciò che cerchi, sia esso un luogo lontano come Timbuctu o una tenda beduina. Sai che puoi attraversarlo ed arrivare nel luogo che vuoi: forse un luogo dello spirito!
Tornano alla mente i mille films e la sterminata letteratura.
Ti ricordi, allora, che nella tua cultura prima di diventare un turista sei stato esploratore, missionario, antropologo, avventuriero, …colonizzatore.
Appare quello che sembra un quadro classico: sotto l’ombra di una roccia, l’unico albero di pistacchio che si incontra in tutto il tragitto e, vicino, il cammello, il cammelliere le sue capre.
Sui piedi sabbia rossa. Hibrahim spiega l’uso che ne fanno i beduini cospargendosi il viso di sabbia impastata con l’acqua: è un belletto. Truccarsi, farsi belli con ciò che la natura di questi luoghi può offrire: la sabbia, il sole e le rare e preziose vene d’acqua.
Dopo aver visto dei graffiti nella roccia, che riportano alla notte dei tempi, quando gli uomini segnavano con la scrittura il loro paesaggio, ti accorgi che il sole comincia ad abbassarsi sulle montagne e ti prepari ad un’ora dolce e misteriosa: il tramonto.
Ti arrampichi – incredibilmente senza fatica – su una roccia e attendi che il sole si nasconda dietro ai monti.
Sembra che il sole si sposi con queste montagne, scendendo lentamente e cangiando in sfumature diverse, mentre i raggi creano uno scenario straordinario che sollecita grandi pensieri. E’ il punto di incontro tra natura allo stato puro e pensiero: nostalgie, sentimenti, immagini, emozioni.
Impossibile staccarsi da questa roccia con un tramonto così: e’ bellissimo!
Ti genera dolcezza, ti fa sentire in pace con il mondo e ti porta lontano nel tempo. Staccarsi è impossibile, andar via non è facile. Vorresti fermare il tempo, sospenderlo.
Hibrahim intona la preghiera del Muezzin: è un lamento deciso, forte, che esprime le lodi ad Allah.
Allah -u- Akbar, Allah è grande. Ed è davvero grande il buon Dio che ha creato tanta meraviglia.

Filippo Pugliese

Profit e non profit: nuove prospettive per il turismo sociale

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