L’edizione 2009 è stata dominata dai Paesi latinoamericani e da cinque dei loro presidenti. Ambiente e crisi economica i temi portanti discussi in questi giorni
L’80 per cento dei partecipanti è di nazionalità brasiliana, poi c’è una fetta che viene da altri Paesi latinoamericani e infine il resto del mondo. Basterebbero i dati delle presenze a far definire meno internazionale e fortemente sudamericana l’edizione 2009 del Forum sociale mondiale (la nona dal primo appuntamento a Porto Alegre nel 2001), che proseguirà fino al primo febbraio a Belem, nello stato brasiliano di Parà. Ieri è stata la giornata dei cinque presidenti, che è apparsa più come un “4 contro 1”: Evo Morales (Bolivia), Rafael Correa (Ecuador), Fernando Lugo (Paraguay) e Hugo Chávez (Venezuela) in mattinata hanno inviato al presidente brasiliano Inácio Lula Da Silva un messaggio chiaro: condividono un’agenda politica già concordata, in cui figura la creazione di una moneta unica per la regione, di un trattato per il sostegno tra i popoli latinoamericani (Alba) che soppianti quello di libero commercio con gli Stati Uniti (Alca), e una partecipazione alle sedi di governance globale che veda il gruppo compatto, a una voce, e mai in coda dietro al Brasile. Un’«unità latinoamericana» è stato detto ieri al Forum, costruita sulla base dell’anti-neoliberismo.
«Durante il Forum non sono mancate le critiche al presidente Lula, nonostante le istituzioni brasiliane, in primis lo stato del Parà, abbia fortemente sostenuto e finanziato il Forum» racconta Andrea Rigon delle Acli, tra gli italiani che partecipano al Forum. «Si è detto molte volte che Lula sta svendendo la foresta Amazzonica, permettendo uno sfruttamento non sostenibile delle risorse e la costruzione di troppe infrastrutture». «Nella giornata di ieri Lula ha scelto di non partecipare all’incontro della mattina fra i capi di Stato i delegati di Sem Terra, che sono fortemente critici nei suoi confronti» continua Rigon, «mentre è venuto all’appuntamento serale delle 19, che ha riunito oltre 10mila persone».I cinque presidenti latinoamericani hanno sottolineato il forte legame e la sinergia con i movimenti sociali. «Il vecchio socialismo è entrato in crisi perché non ha mai cercato di superare le vecchie basi del capitalismo» ha detto Correa alla platea del mattino, dopo averci cantato insieme vecchie strofe d’amore a voce spiegata «cioè il consumismo, lo sviluppo ad ogni costo, l’impostazione bellica. Il nuovo socialismo vuole superare questi limiti».«Io sono un partecipante al Forum, ed è in questa veste che vi incontro» ha spiegato Morales, e Lugo, dal canto suo, ha definito il cambiamento in corso nei loro Paesi, ispirato dai Social Forum, «non un’operazione di laboratorio, un cambiamento artificale, ma un processo vero, nato nelle piazze e tra la gente, e che per la prima volta puo' raggiungere tutto il mondo».«Dopo la scorsa edizione in Africa, a Nairobi, il Social forum è tornato in Brasile, dove è nato e dove i movimenti sociali sono più forti» sottolinea Rigon. «E dove si avverte un cambiamento anche nella politica, un continente dove un metalmeccanico (Lula), un teologo della liberazione (Lugo) e un indio (Chavez) sono diventati presidenti». «Non parlerei di un Forum fortemente politicizzato» afferma Rigon, che lo scorso anno faceva parte del comitato organizzatore, «diciamo che il Forum sociale si è riconnesso con la politica. Si è tornati qui in Brasile perché c’era come la consapevolezza di un processo da completare».
Anche la presenza italiana al forum è inferiore rispetto agli anni precedenti. Tra le associazioni ci sono Caritas, Acli, Arci, Uisp, Libera, Legambiente, Faircoop, «il numero di delegati italiani è inferiore a quello di Nairobi» afferma Rigon.
Ambiente e crisi economica i due temi più discussi al Forum.
«Tantissimi gli incontri sulle multinazionali minerarie che stanno sfruttando in modo indiscriminato l’ambiente qui in Brasile» racconta Rigon. «E non poteva essere diversamente visto che ci troviamo nel pieno dell’Amazzonia, uno dei luoghi più preziosi e vulnerabili del pianeta». Al centro delle critiche l’industria estrattiva del ferro, che ha disboscato ampie aree della foresta e poi ha avviato monocolture di eucalipti che stanno impoverendo il suolo. «Il 95% del ferro estratto prende la via degli Stati Uniti, dell’Europa e della Cina e qui gli abitanti non hanno alcun beneficio, subiscono solo i danni ambientali causati da queste industrie. I movimenti sociali hanno proposto una migliore pianificazione e soprattutto regolamentazione dell’attività estrattive in Amazzonia, ma la vera sfida è quella di avviare politiche per un’economia sostenibile».La crisi economica è stato l’altro pilastro attorno al quale si sono svolti gli incontri del Social Forum. «Forte la percezione di un ciclo che ha fatto il suo tempo, e di una cultura, quella neoliberista che ha mostrato le sue contraddizioni» sottolinea Rigon. «Si è discusso della diffusione di nuovi modelli, come le imprese autogestite dai lavoratori e le cooperative che qui in Latinoamerica hanno un ruolo rilevante e che stanno dimostrando di resistere di più alla crisi».
L’80 per cento dei partecipanti è di nazionalità brasiliana, poi c’è una fetta che viene da altri Paesi latinoamericani e infine il resto del mondo. Basterebbero i dati delle presenze a far definire meno internazionale e fortemente sudamericana l’edizione 2009 del Forum sociale mondiale (la nona dal primo appuntamento a Porto Alegre nel 2001), che proseguirà fino al primo febbraio a Belem, nello stato brasiliano di Parà. Ieri è stata la giornata dei cinque presidenti, che è apparsa più come un “4 contro 1”: Evo Morales (Bolivia), Rafael Correa (Ecuador), Fernando Lugo (Paraguay) e Hugo Chávez (Venezuela) in mattinata hanno inviato al presidente brasiliano Inácio Lula Da Silva un messaggio chiaro: condividono un’agenda politica già concordata, in cui figura la creazione di una moneta unica per la regione, di un trattato per il sostegno tra i popoli latinoamericani (Alba) che soppianti quello di libero commercio con gli Stati Uniti (Alca), e una partecipazione alle sedi di governance globale che veda il gruppo compatto, a una voce, e mai in coda dietro al Brasile. Un’«unità latinoamericana» è stato detto ieri al Forum, costruita sulla base dell’anti-neoliberismo.
«Durante il Forum non sono mancate le critiche al presidente Lula, nonostante le istituzioni brasiliane, in primis lo stato del Parà, abbia fortemente sostenuto e finanziato il Forum» racconta Andrea Rigon delle Acli, tra gli italiani che partecipano al Forum. «Si è detto molte volte che Lula sta svendendo la foresta Amazzonica, permettendo uno sfruttamento non sostenibile delle risorse e la costruzione di troppe infrastrutture». «Nella giornata di ieri Lula ha scelto di non partecipare all’incontro della mattina fra i capi di Stato i delegati di Sem Terra, che sono fortemente critici nei suoi confronti» continua Rigon, «mentre è venuto all’appuntamento serale delle 19, che ha riunito oltre 10mila persone».I cinque presidenti latinoamericani hanno sottolineato il forte legame e la sinergia con i movimenti sociali. «Il vecchio socialismo è entrato in crisi perché non ha mai cercato di superare le vecchie basi del capitalismo» ha detto Correa alla platea del mattino, dopo averci cantato insieme vecchie strofe d’amore a voce spiegata «cioè il consumismo, lo sviluppo ad ogni costo, l’impostazione bellica. Il nuovo socialismo vuole superare questi limiti».«Io sono un partecipante al Forum, ed è in questa veste che vi incontro» ha spiegato Morales, e Lugo, dal canto suo, ha definito il cambiamento in corso nei loro Paesi, ispirato dai Social Forum, «non un’operazione di laboratorio, un cambiamento artificale, ma un processo vero, nato nelle piazze e tra la gente, e che per la prima volta puo' raggiungere tutto il mondo».«Dopo la scorsa edizione in Africa, a Nairobi, il Social forum è tornato in Brasile, dove è nato e dove i movimenti sociali sono più forti» sottolinea Rigon. «E dove si avverte un cambiamento anche nella politica, un continente dove un metalmeccanico (Lula), un teologo della liberazione (Lugo) e un indio (Chavez) sono diventati presidenti». «Non parlerei di un Forum fortemente politicizzato» afferma Rigon, che lo scorso anno faceva parte del comitato organizzatore, «diciamo che il Forum sociale si è riconnesso con la politica. Si è tornati qui in Brasile perché c’era come la consapevolezza di un processo da completare».
Anche la presenza italiana al forum è inferiore rispetto agli anni precedenti. Tra le associazioni ci sono Caritas, Acli, Arci, Uisp, Libera, Legambiente, Faircoop, «il numero di delegati italiani è inferiore a quello di Nairobi» afferma Rigon.
Ambiente e crisi economica i due temi più discussi al Forum.
«Tantissimi gli incontri sulle multinazionali minerarie che stanno sfruttando in modo indiscriminato l’ambiente qui in Brasile» racconta Rigon. «E non poteva essere diversamente visto che ci troviamo nel pieno dell’Amazzonia, uno dei luoghi più preziosi e vulnerabili del pianeta». Al centro delle critiche l’industria estrattiva del ferro, che ha disboscato ampie aree della foresta e poi ha avviato monocolture di eucalipti che stanno impoverendo il suolo. «Il 95% del ferro estratto prende la via degli Stati Uniti, dell’Europa e della Cina e qui gli abitanti non hanno alcun beneficio, subiscono solo i danni ambientali causati da queste industrie. I movimenti sociali hanno proposto una migliore pianificazione e soprattutto regolamentazione dell’attività estrattive in Amazzonia, ma la vera sfida è quella di avviare politiche per un’economia sostenibile».La crisi economica è stato l’altro pilastro attorno al quale si sono svolti gli incontri del Social Forum. «Forte la percezione di un ciclo che ha fatto il suo tempo, e di una cultura, quella neoliberista che ha mostrato le sue contraddizioni» sottolinea Rigon. «Si è discusso della diffusione di nuovi modelli, come le imprese autogestite dai lavoratori e le cooperative che qui in Latinoamerica hanno un ruolo rilevante e che stanno dimostrando di resistere di più alla crisi».
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