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07 marzo 2010

8 marzo, i cento fiori delle donne disabili

8 marzo, diluvio di retorica, di frasi fatte, banalità, mimose all’incrocio, cene fra donne, galanterie non richieste, routine di una ricorrenza che dovrebbe ricordare un terribile incendio in una fabbrica, ma quasi nessuno lo sa o ci pensa. Non voglio aggiungere le mie banalità. Eppure penso, vedendo le immagini di Francesca Porcellato, atleta paralimpica che a 39 anni, alla vigilia dei giochi di Vancouver, è emozionata come una ragazzina e diventa rossa per i complimenti in video di Alex Del Piero, alla forza dirompente di comunicazione emotiva che le donne, anche nella disabilità, portano con sé.
Una forza che è anche tenacia di appartenenza di genere, orgoglio e consapevolezza. Consiglio a tutti, in vista dell’8 marzo, di visitare il sito della Uildm, Unione Italiana Lotta alla distrofia muscolare, perché al suo interno si trova un vero giacimento di documenti e di materiali per capire che cosa vuol dire disabilità al femminile. Il “gruppo donne” della Uildm ha dodici anni di vita, e fanno parte del coordinamento Francesca Arcadu, Annalisa Benedetti, Oriana Fioccone, Simona Lancioni, Francesca Penno, Anna Petrone, Gaia Valmarin e Marina Voudouri. Le cito tutte perché meritano davvero che sia conosciuto questo lavoro certosino, fatto di questionari, seminari, incontri, approfondimenti di tutte le tematiche più delicate e “normali”, dalla maternità alla sessualità, dal lavoro alla famiglia, dal rapporto con il corpo al trucco e alla bellezza.
E’ una storia esemplare di comunicazione parallela e sotterranea, un torrente carsico di idee e di sollecitazioni culturali che il mondo del giornalismo ignora, avendo a portata di mano storie eccezionali (le interviste recenti a due donne con distrofia che raccontano come sono diventate mamme) ma anche testimonianze di questa doppia difficoltà, perché quando si è disabili e donne si devono affrontare, nella nostra società, entrambe le condizioni di discriminazione. Lo dico non per farmi bello, come maschio progressista e benpensante (anche se forse un po’ lo sono), ma perché è vero.
E c’è un altro mondo sommerso che merita il nostro affetto, la nostra considerazione, ma soprattutto un grande rispetto: il ruolo delle donne che accudiscono, proteggono, aiutano a vivere, ogni giorno, migliaia di persone con grave disabilità, non autosufficienti, ma oggi più di qualche decennio fa, ancora in casa, nella propria dimora, nella propria famiglia, e non in una camerata di istituto. Vengono alla ribalta solo quando la cronaca si fa drammatica, o la mancanza di aiuti risulta così sfacciata da non poter essere del tutto ignorata.
Ma sono lì, tutti i giorni, tutte le notti, tutto l’anno, e non mollano mai, rinunciando molto spesso alla propria esistenza di donne libere, in grado di programmare una gita, un weekend, un giro di shopping, una sera a teatro. Sono queste donne a rappresentare in buona misura la salvezza e l’esistenza in vita per tanti, tantissimi, disabili non autosufficienti. Vorrei che almeno ci pensassimo un po’ di più, cominciando anche ad ascoltare la loro voce, i loro diritti, le loro proposte.
Ci sono poi le donne che vengono da lontano, e che ora sono qui, nel nostro Paese, lasciando nel loro cuore il dolore per una famiglia abbandonata e divisa solo per cercare di sopravvivere economicamente. Le etichettiamo come badanti, le mettiamo in regola solo dopo averle considerate clandestine, e poi ci fermiamo subito, per non lasciarci coinvolgere dalle loro vite di donne, dalle loro fragilità che non possono neppure ammettere, chiamate a risolvere i nostri problemi, a mettere le mani sui nostri cari in cambio di denaro.
Mi piacerebbe un 8 marzo dedicato alla dignità delle donne con disabilità e delle donne vicine alla disabilità. Un grazie non basta, ma è almeno il minimo che si meritano.
Felice 8 marzo, con un sorriso.
di Franco Bomprezzi

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