Al via da domani, 1 settembre, il 44° incontro nazionale di studi delle Acli dedicato quest’anno al tema del “Lavoro scomposto” (Verso una nuova civiltà dei diritti, della solidarietà e della partecipazione). Nei quattro giorni di convegno si alterneranno rappresentanti del mondo accademico, ecclesiale, sociale, sindacale e politico. Al centro dell’attenzione, dunque il lavoro e in particolare i limiti vecchi e nuovi del mercato del lavoro italiano. Ad aprire domani le giornate la relazione del presidente nazionale Acli Andrea Olivero.
«Guardi, l’elemento fondamentale non è l’articolo 18, ma il diritto che esso ha regolamentato». Andrea Olivero, presidente delle Acli, sa bene che parlare di articolo 18 è come giocare con il fuoco, ma la proposta di «contratto prevalente a tempo indeterminato» che presenta al 44esimo incontro nazionale di studi delle Acli - dedicato al “lavoro scomposto” e che si tiene a CastelGandolfo, nei luoghi dove esattamente trent’anni fa Giovanni Paolo II firmò l’enciclica Laborem exercens - mette le mani proprio lì.
Qual è esattamente la proposta?Andare verso una riduzione della precarietà del lavoro attraverso un contratto nuovo, che sia a tempo indeterminato ma contempli la possibilità di licenziamento nei primi tre anni. Formalizzeremo la proposta alle parti sociali e ai rappresentanti del governo, e speriamo si tramuti nelle specifiche di una proposta di legge da parte di politici più sensibili.
Facile immaginare le critiche…C’è naturalmente una resistenza, sia da parte del governo che teme che questo riduca la flessibilità, sia da parte dei sindacati, che temono si voglia toccare l’articolo 18. Non è così. Innanzitutto per noi la flessibilità in ingresso nel mondo del lavoro non è un male, a patto che resti circoscritta all’entrata. È meglio allora prevedere la possibilità di licenziare nei primi anni di lavoro, ma con un contratto a tempo indeterminato, piuttosto che condannare i giovani al supplizio di contratti che vanno di tre mesi in tre mesi. Quanto all’articolo 18… l’elemento fondamentale non è l’articolo 18 in sé, ma il diritto che esso ha regolamentato in una determinata fase storica della vita del Paese, cioè il diritto ad avere un lavoro stabile. Il tema da porre con urgenza nel dibattito odierno – dove è assolutamente assente – è come allargare i diritti di un lavoro stabile anche a quanti oggi sono esclusi dall’articolo 18.
Nel nuovo Testo unico sull’apprendistato c’è qualcosa del genere, no? Sì, qualcosa là è stato recepito, soprattutto andando a scoraggiare il continuo ricambio da parte delle imprese dei lavoratori in apprendistato. Paradossalmente questo strumento è stato visto più come sostegno alle imprese che come occasione per i giovani. Quel che è stato fatto però non basta, si deve fare di più ed è una delle grandi priorità dell’oggi. Del resto sono i dati del nostro mercato del lavoro a dirci che è necessario cambiare alcune regole.
Perché parlate di “lavoro scomposto”?Per tanti fattori insieme, non solo perché il lavoro è precario e contrattualmente frantumato. C’è un elemento antropologico per cui un tempo trovare un lavoro voleva dire diventare adulti, oggi non più, e uno sociale, per cui un tempo il lavoro era un tassello fondamentale della costruzione della propria identità, oggi non più. Anche sotto il proflo macroeconomico il lavoro è scomposto rispetto all’economia, per cui quando c’era un annuncio di licenziamenti i titoli in borsa crescevano, come se il lavoro fosse accessorio o addirittura di disturbo per l’impresa stessa. La nostra sfida, come Acli, è ricostruire il significato profondo del lavoro per le persone, la società e anche per l’economia, perché noi crediamo che solo un’economia con al centro il lavoro possa essere un’economia buona e per l’uomo.
Una riflessione è dedicata anche al rapporto tra lavoro e volontariato. È un tema delicato. C’è un pensiero che li vuole tenere distinti, per evitare forme in cui il volontariato maschera uno sfruttamento sottopagato. Però la distinzione è stata anche fonte di una profonda divisione tra questi mondi. Una realtà come la nostra deve sforzarsi di fare un’operazione di sintesi: certo ci sono delle specificità che bisogna tenere marcate ma insieme si può concorrere, costruendo progettualità specifiche, a raggiungere risultati comuni. La logica del dono e quella del lavoro non sono tra loro in contrasto, ma hanno anzi bisogno una dell’altro. Lo provano i nostri promotori sociali.
Il numero33% l’aliquota contributiva unica proposta dalle Acli sia per i contratti di lavoro dipendente sia per i parasubordinati. Cancellare il sistema della doppia aliquota contributiva ed eliminare il vantaggio economico dell’impresa ad utilizzare il contratto parasubordinato eliminerebbe i falsi contratti a progetto. I lavoratori atipici in Italia sono oggi 2milioni 583mila.