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10 dicembre 2006

Cresce il "turismo procreativo"

Nella giornata odierna sono stati presentati i dati dell'Osservatorio
sul turismo procreativo, sul numero di persone che vanno all'estero
per fare un figlio in provetta.

I dati ci dicono che il numero di persone italiane che lo fanno è quadruplicato. Mi immagino che questo costituirà linfa vitale per le pretese dei detrattori della legge 40 a farsi avanti, e dunque vorrei aggiungere qualche considerazione un po' più generale per svecchiare il dibattito.
Da anni, un dato di fatto che riguarda la globalizzazione è che ha abbattuto, sotto il profilo economico, la capacità dei governi nazionali di applicare politiche differenziate. Sia le grandi socialdemocrazie europee, che gli Stati Uniti, che gli altri Paesi, sono sotterrati dalla preponderanza del ruolo del grande capitale, che ormai si sposta da un luogo all'altro con facilità ed è in grado di dettare le condizioni per installarsi in una regione piuttosto che in un'altra (es. la richiesta di EPZ controllate). Per cui, i Paesi che possono offrire come fattore competitivo il basso costo del lavoro tendono ad attrarre il capitale dai Paesi nei quali il salario è più elevato e i diritti sono maggiori, e questo è un fenomeno pressoché instoppabile a meno di non intervenire sul WTO (ma con quali mezzi, e con quali motivazioni?). Attenzione: il corollario di questo fenomeno è in azione anche in altri campi. Ad esempio: se in un Paese c'è un controllo minore della prostituzione minorile, e nel resto del mondo c'è un cospicuo relativo segmento di mercato, ecco allora che quel Paese diviene una meta appetibile per esso, e contemporaneamente passa il concetto che, secondo l'unica razionalità ammessa sul libero mercato (quella dell'utilità individuale delle preferenze), la condizione competitivamente più vantaggiosa sul settore in questione è proprio quella del Paese che controlla poco la prostituzione. Ovvero, il motivo del viaggio è poco rilevante: quel che conta razionalmente è che il turista che va nella meta di turismo sessuale "tal dei tali", scambia comunque produzione interna con reddito esterno, e produce ricchezza per il Paese di destinazione. Ma la domanda, a questo punto, è: ciò che vale per la circolazione di merci, può valere per i canoni etici, per la cultura, per il vivere civile?Veniamo dunque alla questione della procreazione. Se in Italia stabilisco che la procreazione che non avvenga secondo i canoni della legge 40 è incorretta, è un'argomentazione plausibile sostenere che la dobbiamo permettere anche noi, altrimenti i nostri cittadini/consumatori vanno a fare la stessa cosa all'estero? La stessa cosa, attenzione, vale per vari profili: la sperimentazione embrionale, i diritti del lavoratore....Qual è la ripercussione della globalizzazione sul livello di salario medio dei "Paesi ricchi"? E' che sono costretti a smantellare progressivamente il sistema sociale di protezione del lavoro, se vogliono essere competitivi rispetto ai nuovi Paesi. Allo stesso modo, mi sembra di rilevare che il sistema del libero mercato applicato all'etica tenda a far appiattire verso il basso (leggi: permissivismo tendente all'anarchia) l'etica di riferimento dei "Paesi ricchi". Se la Spagna permette i matrimoni gay, comprensivi di adozione, possibilità di procreazione per le lesbiche, e tutto il resto, l'Italia si dovrebbe adeguare, perché non si avrebbe l'impossibilità per il cittadino italiano di praticare in quel modo, ma semplicemente l'aggiramento dell'ostacolo rivolgendosi a un altro interlocutore.
Articolo Repubblica

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