IL RISCATTO DI UNA TERRA E DI UNA STORIA
Nell’estate del 1961 ero a Torino per il matrimonio di mio fratello che aveva vinto un concorso da perito tecnico e lì aveva avuto il posto di lavoro e messo radici, come tanti meridionali che in quegli anni lasciavano la propria terra per il mitico Nord.
Arrivammo alla stazione di Porta Nuova dopo un lungo viaggio in treno che aveva i tratti del film Rocco e i suoi Fratelli: da poco uscito nelle sale cinematografiche e che io non avevo potuto vedere perché vietato ai minori di sedici anni. Viaggio interminabile, lunghe soste nelle stazioni, valigie di cartone rinforzate con cinghia di cuoio e, poiché queste non bastavano per una famiglia di sette persone in viaggio, scatoloni di cartone pieni di prodotti tipici da portare al fratello e ai nuovi parenti torinesi e ai compaesani: Amaro Lucano, caciocavallo, ruota da quattro chili di pane casereccio, mozzarelle di Battipaglia, salsiccia e soppressata di Campomaggiore e…. quant’altro avrebbe ridato al fratello, ormai diventato torinese, i sapori della terra lucana.
Ero un ragazzetto di 12 anni e poco comprendevo del significato di parole come terroni, polentoni, meridionali, più volte ascoltate. Fatto il giro doveroso a trovare alcuni compaesani ormai anch’essi trapiantati a Torino, che molto apprezzarono i prodotti tipici portati loro in dono, fui portato a visitare l’esposizione di Italia 61, il centenario dell’Unità d’Italia.
Grandi innovazioni tecnologiche, avveniristica monorotaia, scale mobili -e chi mai le aveva viste prima di allora-, stand espositivi dove ogni regione mostrava ciò che di moderno era riuscito a fare e ciò che in futuro avrebbe realizzato. Nello stand della Basilicata era esposto il grande pannello di Carlo Levi denominato, appunto, Italia61: diciotto metri di lunghezza a rappresentare, con realismo tutto socialista, il mondo contadino, i suoi protagonisti e i suoi cantori, i luoghi, le tradizioni, la quotidianità.
Di quella visione mi sono rimaste impresse nel ricordo due scene. La prima, la luminosità del ritratto di un giovane (Scotellaro) dai capelli rossicci e dal volto radioso che parla ai contadini; figura centrale del grande pannello e che dà luce al resto del quadro, piuttosto oscuro e rappresentante i volti dolenti dei contadini e delle donne del Sud, le misere condizioni di vita in abitazioni di una sola stanza con le bestie accanto, l’amara terra solcata da profondi e aridi calanchi. La seconda scena è fatta di visitatori che commentavano con voce appena percepibile ciò che avevano appena visto: …però vivere in quelle condizioni!..., …il libro di Carlo Levi racconta che in alcuni paesi della Basilicata la gente abita con le bestie… , …io so che nei Sassi di Matera si vive nelle grotte senza aria né luce.., …i Sassi sono una vergogna per il Paese…, .. …però questo quadro è troppo realistico e non è bene far vedere come vive la gente.
All’età di dodici anni avevo sentito parlare vagamente di un Cristo che non era andato oltre Eboli e che non era venuto dalle nostre parti; di uno strano sindaco-poeta che scriveva poesie sui contadini. Nessuno, né la scuola né la comunità parrocchiale che frequentavo, mi aveva parlato di Rocco Scotellaro, di Carlo Levi, del paese Aliano, delle maciare, di come si viveva nei nostri paesi, dei Contadini del Sud e di Matera. Non ero ancora stato a Matera e non conoscevo i Sassi e le condizioni di chi li viveva.
Qualcuno del mondo politico di allora aveva dichiarato i Sassi “una vergogna nazionale” e il Governo ne aveva ordinato il risanamento, disponendo lo sfollamento e la costruzione di case popolari e moderne. Finalmente. Era il 1952 ma ormai l’etichetta di vergogna nazionale era stata messa su una città e su una terra.
In seguito, e ben presto, ho amato Rocco Scotellaro e Carlo Levi; ho capito che Matera era il volto della questione meridionale e ne ho scoperto il fascino di città dolce e orientale, custode di una storia millenaria. In seguito ho ben capito che quella dichiarazione di“vergogna nazionale” non era riferita alla gente che nei Sassi viveva, bensì alla lontananza di uno Stato tardo-borbonico che non si era affatto preoccupato fino ad allora di battere il degrado e promuovere sviluppo nel Sud del Paese. In seguito ho potuto constatare come anche in altri luoghi dell’Italia e dell’Europa i contadini condividevano lo spazio abitativo con le bestie: la loro ricchezza. In seguito ho conosciuto la vivacità culturale di Matera attraverso la rivista Basilicata di Leonardo Sacco, l’appassionata ricerca storica di le di Raffaele Giura Longo, la straordinaria promozione culturale di Raffaello De Ruggiero con i circoli culturali La Scaletta e Zetema volta alla valorizzazione delle chiese rupestri, il notevole contributo di Pietro Laureano perché Matera diventasse nel 1993 Patrimonio dell’Umanità, le interessanti ricerche di Armando Sichenze e Ina Macaione sui giacimenti culturali in Basilicata. In seguito ho apprezzato la molteplice attività culturale della città espressa attraverso un tessuto associativo creativo e di spessore.
Oggi il grande pannello Italia61 di Carlo Levi è esposto, ormai da tempo, nel Palazzo Lanfranchi di Matera. Davanti ad esso non si parla più di vergogna nazionale. Anzi, esso è diventato marca di confine tra vergogna nazionale e cultura contadina e ha fatto di Matera la capitale del riscatto di una terra e di una città. Un riscatto che l’ha portata ad essere proclamata Capitale Europea della Cultura nel 2019, vincendo la competizione con bellissime città quali Ravenna, Siena, Cagliari, Lecce e Perugia. Un risultato favoloso che la mette in linea con le magnifiche città che nel passato hanno avuto il medesimo riconoscimento: Firenze, Bologna, Genova!
Ma come ha potuto arrivare a questo risultato? Sicuramente con una progettualità e uno staff di prim’ordine, ma soprattutto con un lavorio lungo più di sessant’anni che ha espresso un’attività culturale diffusa e multiforme, volta non solo alla città ma anche al territorio; che ha saputo tessere una trama virtuosa tra Amministrazione Comunale e realtà associative e singoli cittadini.
Tant’è che l’idea di candidare Matera a capitale della cultura per il 2019 è stata di un gruppo di cittadini costituitosi poi in comitato promotore. E non è un caso che una delle idee vincenti del progetto sia stata quella di darsi un respiro di intervento che si rivolge non alla sola città ma anche al territorio più ampio che va dall’Alta Murgia al Pollino e alla Campania.
Un magnifico riconoscimento dato alla città ma che è estensibile idealmente a tutto il Mezzogiorno e che sollecita quanti hanno a cuore l’idea di uno sviluppo non assistito a essere protagonisti del proprio territorio.
di Filippo Pugliese
Presidente Provinciale del Centro Turistico Acli di Potenza